ROMA PRIDE 2010: NOI NON CI SAREMO
A Roma, negli ultimi mesi, sono accadute cose talmente sconcertanti e rilevanti in
merito al Pride della Capitale del 2010 da indurre molte
Associazioni, gruppi e singoli/e ad una riflessione comune, avvenuta
nella sede del Circolo Mario Mieli in tre riunioni molto partecipate e
ricche di diversità.
Dopo un’ ampia analisi della situazione politica
attuale del movimento lgbtiq e dei fatti di Roma, le Associazioni, i
gruppi, i/le singoli/e che sottoscrivono questo documento hanno deciso
di non aderire a Roma Pride del 2010, per ragioni sia di metodo sia di
sostanza politica, che riassumiamo con poche righe non esaustive ma
indispensabili.
Il comitato che organizza e promuove il
Roma Pride, costituito alla fine da sole quattro
associazioni romane, ha effettuato una serie di operazioni, da aprile ad oggi, tali da impedire modalità di costruzione condivisa.
Prima sono stati contestati i Pride precedenti e si è richiesta una
nuova entità organizzatrice a ridosso dell’evento, invocando maggiore
collegialità ma estromettendo dalla costruzione
tutte le realtà non della Capitale, per la prima volta dal 1994.
Poi si è perpetrata una messa in scena di falsa
democrazia attraverso il passaggio di due brevi
workshop di proposizione di idee sotto la
guida di una psicoterapeuta, delegando poi le decisioni sostanziali a
piccoli gruppi di lavoro scollegati fra loro. Successivamente
si è spostata la data dell’evento dal 12
giugno al 3 luglio, incomprensibilmente verso un periodo più infelice
per la partecipazione e contro una decisione
assunta a febbraio durante un incontro nazionale di movimento a Napoli,
questo mentre i gruppi di lavoro in teoria dovevano ancora decidere in
raccordo fra loro. Analogamente l’ufficio stampa ha
scelto e resi pubblici slogan, data e logo prima che si pensasse a
quale dovesse essere l’essenza del documento politico da stilare,
capovolgendo la logica di qualunque manifestazione esistente. E
via discorrendo, con tante e tali “novità” di cui via via si prendeva
atto senza alcun vero confronto politico. E potremmo continuare. Un Pride che si autoproclamava “di tutti” è diventato nei
fatti di pochi, in particolare di sole quattro sigle.
Si è perpetrata una involuzione sostanziale
dei contenuti politici, a partire dallo slogan e dal comunicato stampa
di annuncio della manifestazione: questo Pride
trova la sua rivoluzione nei i baci e nell’affettività, cioè in quanto
di più blando e generico esista, con la sconvolgente amnesia delle
pietre miliari e quarantennali delle lotte di movimento lgbtiq, ovvero
orgoglio, liberazione, visibilità, autodeterminazione, sessualità, lotta
per i diritti, laicità etc. Si è compiuta inoltre una
regressione culturale di cui forniamo solo alcuni degli innumerevoli
esempi: la rinuncia alla politica costruendo un Pride che passa
attraverso una psicoterapeuta; la perdita dell’uso
del femminile nel linguaggio; l’irrilevanza della questione transessuale
(persino nella esiguità impressionante di persone trans nel comitato),
salvo talune richieste di specifici interventi normativi nella
piattaforma rivendicativa più lunga della storia,
talmente tecnica da sembrare una tesina da giovane avvocato lgbtiq;
l’uso smodato del vittimismo; la ossessiva e plumbea richiesta di
supporto di polizia e telecamere; la perdita del senso della storia e
delle indubbie conquiste sociali e culturali ottenute dal movimento;
l’idea che le Associazioni hanno fatto il loro tempo e devono fare passi
indietro, salvo poi dirigere il tutto attraverso poche persone che
nelle Associazioni ci stanno da decenni o ne hanno attraversate
parecchie, e magari militano anche nei partiti; l’uso spregiudicato
delle vicende di cronaca di transfobia e di omofobia, ignorando le prime
e strumentalizzando le seconde come spot davanti ai media, magari
appropriandosi anche di iniziative altrui (vedi la fiaccolata
organizzata da We Have a Dream il 30 maggio scorso), rilasciando
dichiarazioni alla stampa e appiccicando cartelli con il logo del
“proprio” Pride sul petto di chi ha promosso, dietro alla sola bandiera
rainbow, una manifestazione di solidarietà e di risposta agli episodi di
violenza. E potremmo continuare.
Si è sostanziata una marginalizzazione delle realtà
lgbtiq di area culturale di sinistra e si è proposto un indistinto
qualunquismo politico, basandosi su un progetto ipotetico di
trasversalità che vuole andare a tutti i costi a scovare una sensibilità
della destra italiana verso le tematiche gay, lesbiche e transessuali
che nella realtà non esiste, se si escludono rare e in fondo doverose
estemporaneità istituzionali o amministrative. Si è arrivati a
preoccuparsi più della questione della necessità e volontà di cercare
sponde a destra, anche in quella cosiddetta "estrema", che coinvolgere
nel Pride i collettivi universitari e non, i centri sociali, le
femministe, i partiti, i sindacati, le Associazioni che si occupano di
diritti umani, le radio e le televisioni che aprono al territorio, i
testimonial sensibili, migliaia di cittadine e cittadini comuni che nel
Pride hanno visto negli ultimi anni un momento essenziale per stare
insieme con consapevolezza e gioia, reagendo all’involuzione politica e
sociale del nostro Paese. Ci si è naturalmente preoccupati di non
dimenticare nel documento politico la parola antitotalitarismo, affinché
la parola antifascismo non rimanesse sola ed inequivocabile.
C‘è talmente più realismo del re, che ci
si preoccupa di evitare qualunque possibile polemica con
l’amministrazione di turno (comunque guarda caso di destra), risolvendo persino le questioni politiche con un semplice e
docile “ci ripensi” rivolto al sindaco Alemanno, che si
dichiara contrario ad una legge contro l’omofobia e la transfobia E
potremmo continuare.
Ma ci fermiamo nell’elencazione dei vari motivi che
ci allontanano da questo Pride non perché non ve ne siano altri, ma in
quanto riteniamo che quelli esposti siano già sufficienti per spiegare
un atto così serio ed inedito da parte nostra.
Ci sentiamo orfani/e quindi di un appuntamento
vero, vitale, condiviso, ricco e coinvolgente quale è stato
fino ad oggi il Pride romano, significativo per tutta la comunità lgbtiq
italiana e per la città di Roma. Non riusciamo in
nessun modo a riconoscerci in nulla di ciò che Di’Gay Project, Arcigay
Roma, Gaylib Roma e Azionetrans, ovvero il Comitato del Roma Pride 2010,
hanno realizzato a testa bassa sino ad ora, senza nemmeno un
attimo di ripensamento. Quindi con dolore immenso non aderiamo al Pride,
con la scelta condivisa che ogni Associazione firmataria, se vuole,
possa trovare liberamente proprie modalità di presenza per i propri
associati e prendiamo le distanze dall’atto di destrutturazione
metodologica, politica e culturale che si è perpetrato ai danni di un
appuntamento da sempre e da tutto il movimento italiano sentito e
ritenuto importantissimo . Ci aspettavamo da parte
del comitato un qualche momento di consapevolezza del crescente
sfaldamento, soprattutto dopo le continue critiche piovute da ogni dove e
dinanzi al progressivo rimanere da soli. Non c’è stato nulla, non si
capisce se per incapacità politica e inesperienza, o per la precisa
volontà di provocare una spaccatura nel movimento. Noi vogliamo
invece ristabilire modalità serie di coesione e fiducia, ribadire
contenuti e storia del movimento, rilanciare percorsi di costruzione
politica. Bisogna riattivare un dibattito vero, ribadendo vigorosamente
lo spirito di liberazione di Stonewall.
Su questo solco è quindi indispensabile continuare il percorso sia di
lotte per i diritti e tutele verso coppie e singoli/e lgbtiq, sia di
battaglie più ampie per una società più libera, come quelle contro le
politiche di repressione e strumentalizzazione sui corpi delle persone
trans, di donne e di migranti, contro il pacchetto sicurezza (come non
ricordare i Cie – Centri di espulsione), contro la privatizzazione dei
servizi e dei beni comuni, e via discorrendo. La
nostra mancata adesione è un atto di vera assunzione di responsabilità,
l’unico possibile rimasto: non nel nostro nome tanta pochezza di
contenuti, manifesta incapacità e tanta
mistificazione, non nel nostro nome la ricerca di visibilità di pochii.
Non ci sarà da parte nostra nessun atto se non
questo: noi non ci saremo. E non andremo nemmeno a inizio parata a
cercare solo le telecamere per comunicare urbi et orbi la nostra
distanza, come ha fatto in passato chi si è ricordato di amare tanto il
Pride solo quest’anno, che l’ha voluto organizzare a tutti i costi e a
modo proprio.
Andremo invece tutti ed tutte a Napoli il 26
giugno, a sostenere un Pride che condividiamo e sentiamo nostro,
anche se la gioia di quel giorno non colmerà il senso di perdita umana e
politica del Pride di Roma, stracciato e mortificato come un pannetto
inutile in mano a pochi in totale smarrimento.
Antagonismo Gay Bologna
Associazione Culturale Gender
Associazione Libellula Trans
Associazione LLI – Lista Lesbica Italiana
Azione Gay e Lesbica Firenze
Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli
Circolo Pink Verona
Coordinamento Facciamo Breccia
CLR Coordinamento Lesbiche Romane
Coordinamento Trans Sylvia Rivera
Coq Madame
Corpolibero – Coordinamento lgbtiq di Rifondazione Comunista
Fuoricampo Lesbian Group Bologna
Gayroma.it
Il collettivo tilgbq "Sui Generis"
La Roboterie
Leather Club Roma
Le Ribellule
M.I.T. – Movimento Identità Transessuale
Open Mind Catania
REFO – Rete Evangelica Fede e Omosessualità
Subwoofer Bears
ADESIONI PERSONALI
Alessandra Marinucci
Diego Tolomelli
Fausto Perozzi
Marcella Di Folco
Massimo Quinzi
Porpora Marcasciano
Nicole De Leo
Laurella Arietti
Valerie Taccarelli
Massimo Vario
Federica Pezzoli
Paolo Violi
Samuele Benedetti
Ugo Malatacca
Gianluca Manna
Franco Salaris
Manuel Savoia
Mauro Cioffari
Per adesioni
noncisaremo2010@gmail.com